La luce ha appena varcato la linea dell’orizzonte in
questo nuovo giorno di primavera. Lui ancora dorme all’ombra d’invalicabili
mura. Ci vorrà ancora qualche ora prima che possa scorgere anche solo un primo
raggio di sole. Come ogni mattina gli accarezzerà il volto costringendolo ad
abbandonare l’incantato mondo dei sogni per l’unica realtà che conosce.
I sogni, che si ripetono identici da circa trent’anni, lo
cullano nelle lunghe notti passate tra un vicolo e l’altro, a stretto contatto
con l’umida e ombrosa terra, tra alte e infinite mura e sotto un cielo a volte
benevolo e altre volte no. E’ la sua casa. Ma di quei sogni, che il giorno lo
tormentano, vaghe figure, profumi e voci sottili che non gli appartengono scrivono
le sue notti.
Ora è sveglio. Il sole è sufficientemente alto tanto da
poter allungare le sue lunghe braccia perpendicolarmente tastando il suolo,
aggirando così le mura che ogni cosa interrompono.
A fatica muove i primi passi della giornata. Cibarsi è il
primo obiettivo. La pietanza, che pare cada dal cielo ogni mattina in un pacco,
si trova in uno dei tanti vicoli di questo immenso labirinto di pietra e terra.
Ha visitato ogni angolo di questo luogo senza uscita, ha
una mappa incisa nella memoria. Anche oggi non gli sarà difficile trovare
il suo pasto, e il posto migliore dove consumarlo.
I vicoli si somigliano tutti; alte mura di circa
venticinque metri costituite da enormi pietre dalla forma irregolare e un suolo
di terra battuta. Nonostante questo, ha
delle preferenze su dove mangiare e dormire, forse dettate dai migliori pasti
gustati oppure dai più reali sogni avvenuti nelle tante notti passate qui.
Anche il sogno di questa notte è tra i migliori che abbia
mai fatto, e non solo. La figura illeggibile che lo insegue da anni ha
finalmente un volto. I sogni hanno forse
scavato nei lontani ricordi riconducendolo in luoghi e tempi remoti? Si chiede
se quel volto esiste, se esiste altro all’infuori di queste mura.
Risposte che una sola parete può dargli, è a est del labirinto, la
più esterna. Conosce perfettamente quella parete tanto da essere convinto sia
la perimetrale. Sempre che esista un perimetro. Per anni ha immaginato la sua
arrampicata, è l’unica ad avere pietre sporgenti a tal punto che è possibile
azzardare una faticosa e altrettanto pericolosa salita.
Le volte che ha pensato di farlo non le conta, ma oggi è
il gran giorno, quel volto, quei lineamenti così familiari apparsi nel ricordo
tramutato in sogno non gli lasciano alternativa. Lui vuole questo ora.
Si incammina a passo veloce, sa esattamente dove sta
andando. Dritto per venti passi, destra, dritto per cinquanta passi, destra,
sinistra, ancora dritto. Arriva al bivio dove ha inciso sulla pietra il numero
dei passi che lo separano dalla parete. Altre volte è passato di qua e
altre volte ha contato i passi: trentasei, svolta a sinistra, arrivo.
Venticinque metri di pietre ammassate una sull’altra sono
di fronte a lui, è il suo muro.
Il piede sinistro si appoggia sulla prima pietra mentre
la mano destra cerca un appiglio, lo trova e il corpo si alza da terra. Poi a
destra, un altro appiglio, un’altra pietra sporgente e ancora su. E poi ancora
e ancora.
Le mani cominciano a fargli male, ha paura di non
riuscire, guarda in basso, quindici metri lo separano da terra, tornare
indietro ora è più pericoloso che andare avanti. Rialza lo sguardo: uno stormo
di rondini attraversa il fazzoletto di cielo azzurro che da sempre esiste
sopra la sua testa. La vita è sopra, la morte sotto. Alza il braccio sinistro
indolenzito, tasta la pietra, cerca una presa, la trova. Ancora su, un altro
metro, e un altro metro ancora. Il cielo si dilata
mentre l’aria calda che ora lo avvolge sembra sostenerlo, abbracciarlo, cullarlo.
L’aria accarezza ora la sua mano al sole, è l’ultima
pietra. La luce lo acceca, serra gli occhi, un ultimo sforzo con le gambe. E’
fuori.
Con le palpebre ancora chiuse, seduto, respira
affannosamente, la scalata lo ha infiacchito ma i profumi e il calore che
avverte sono già parte del premio che attendeva. Sorride, è cosciente del fatto
che a una salita corrisponda sempre una discesa, ma non se ne preoccupa.
Dovesse anche volare giù come un angelo e sfracellarsi al suolo ne sarebbe
valsa comunque la pena.
Ma la sorpresa più grande è davanti ai suoi occhi adesso
aperti. La parete in pietra che dà verso la libertà è alta solo due metri e
mezzo.
Un urlo e un grande salto. E’ libero. Circondato da
boschi. Prende una direzione qualsiasi e comincia a correre e correre, e
finiscono i boschi e cominciano i prati e i campi di granoturco e i pascoli e.
Una collina verde davanti a sé, si inerpica rapidamente
con la frenesia che cresce nel suo animo. A breve potrà finalmente osservare il
mondo che non ha mai conosciuto, e cercare tra milioni di persone, di cui ne
spera l’esistenza, quel volto apparso nel sogno. Con il fiato corto giunge in
cima.
Una distesa senza fine di labirinti in pietra si estende
fino all’orizzonte