Pagine

domenica 23 ottobre 2016

Virus. Remake di "Aria Fredda" Lovecraft

Nell’autunno del 2008 trovai finalmente lavoro, mi ero da poco trasferito a Roma e dopo aver tempestato di curricula tutte le redazioni della città, trovai un posto come articolista presso un giornale minore. Lo stipendio non era dei migliori ma sufficiente per permettermi un affitto in uno dei sobborghi periferici della città. Trovai una casa dignitosa in Suburbio Tor di Quinto.
La padrona di casa, Carmela, era siciliana e viveva nell’appartamento al piano inferiore, una gentile vedova che non perdeva occasione di farmi visita rimpinzandomi di cannoli, lasagne e tutto ciò che le veniva in mente di preparare la mattina appena alzata. Anche dei vicini non potevo certo lamentarmi, erano cortesi e silenziosi, qualità quest’ultima che qui a Roma apprezzavo molto.  
In breve tempo conobbi tutti gli inquilini dello stabile tranne uno, Il dott. Mareschi che aveva casa giusto in faccia alla mia. Non usciva mai dal suo appartamento. Carmela mi aveva raccontato della sua malattia, di cui poco sapeva, e del fatto che rifiutasse ogni genere di aiuto medico, “Si cura da se” disse, “l’unico medico che gli fa visita una volta l’anno è il dottor Canua”.
Il perché il pianerottolo del mio appartamento fosse più freddo degli altri due che attraversavo salendo le scale, mi fu chiarito il 12 novembre. Uscii tardi quella mattina, e appena varcai la porta di casa incontrai Carmela, attendeva che il dott. Mareschi le aprisse la porta per consegnare la spesa che era solita fare il martedì. Commissioni che il dottore le dava per evitare di uscire e che Carmela faceva non senza un certo disappunto. Non perché non le piacesse rendersi utile, ma più per la paura e l’orrore che provava tutte le volte che si apriva quella porta. Si leggeva nei suoi occhi e quella mattina non mancò di ricambiare il mio sguardo con uno denso di paura. Non appena la porta si aprì, sentii immediatamente l’aria gelida che ne usciva, come quando si apre lo sportello di un congelatore. Una massa d’aria polare invase l’intero pianerottolo e il dott. Mareschi apparve alla porta e si accorse di me, mi salutò cortesemente e rientrò di corsa. Con la stessa fretta Carmela si dileguò.
Rimasi impietrito sul pianerottolo per alcuni minuti, la prima tentazione fu di fuggire dal freddo che si era riversato fuori dal suo appartamento abbassando ulteriormente la temperatura nelle scale. La curiosità di conoscere il dott. Mareschi e la sua strana malattia vinsero però sulle mie indecisioni, e bussai alla sua porta.
Da qualche giorno avevo un problema di respirazione, forse a causa del pulviscolo che una città come Roma può offrire insieme a tutte le sue bellezze, o magari era solo un’influenza passeggera. Sarei dovuto andare da un medico ma il lavoro e la commissioni mi occupavano gran parte della giornata rendendo al momento impossibile qualsiasi tipo di visita o prenotazione.
Il fatto che Mareschi fosse medico mi mise nella condizione di giustificare la mia invadenza con una richiesta di aiuto. In questo modo sarei penetrato forse in quella casa che ora, nell’attesa mi fosse aperta, e dal freddo che filtrava dallo spiffero sotto la porta che sentivo avvolgermi le caviglie, m’inquietava.
Era un uomo di mezza età, alto magro con due enormi baffi sotto un naso aquilino che gli donavano un’aria quasi ottocentesca. Anche il taglio di capelli era alquanto retrò. Vestiva leggero, nonostante il freddo in cui viveva.
Gli spiegai i motivi della mia visita ed egli non esitò a farmi entrare. La casa era ordinata e pulita, aveva tutta l’aria di un appartamento nobiliare; tappezzeria alle pareti, mobili antichi, quadri del settecento, ceramiche e tutto ciò che la rappresenta.
Mi portò nel suo studio e dopo una breve visita mi prescrisse una ricetta. Cercò in tutti modi di scusarsi per la bassa temperatura, dopo avermi visto tremare un paio di volte, e mi raccontò della sua malattia. Un Virus lo aveva colpito molti anni prima durante una ricerca in Congo, una malattia che richiedeva un preciso regime di cure, tra cui il freddo. Grazie alle sue continue sperimentazioni, aveva scoperto però il lato positivo di questo virus; con un’accurata preservazione e volontà si potevano allungare i tempi d’invecchiamento degli organi, e quindi forse la vita.
Aveva fatto montare nel suo appartamento uno di quelle “macchie moderne”, così le chiamava, si trattava di un enorme motore refrigerante capace di portare la temperatura fino a zero gradi.
Mareschi era uomo dalla grande cultura, lo si coglieva dalle misure e dai termini con cui si esprimeva, dall’aspetto ben curato e da antichi modi gentili che mi era quasi impossibile non notare. Eppure, con il passare dei minuti, il suo aspetto cominciava a crearmi ribrezzo e non ne capivo il motivo, ma nonostante tutto, ero disposto a tornare in quella casa, se non altro per dargli conforto ed essere utile nel caso servisse.
Nelle settimane seguenti tornai a trovarlo spesso, non senza essermi prima organizzato per combattere il freddo polare cui mai mi abituavo; mi comprai un giaccone più pesante e un paio di guanti che mi avrebbero protetto dalle sue gelide strette di mano.
L’incredibile avvenne però nel giro di pochi giorni.
Una mattina il refrigeratore si bloccò. Bussai a quella porta con l’intento di fargli visita, ma lui non mi aprì. Con voce alquanto strana, ma certamente sua, mi disse che avrebbe preferito non farmi entrare, e mi pregò di mandargli un tecnico per riparare “quella macchina moderna” che nella notte pareva avesse smesso di funzionare. Era una domenica mattina e trovare un tecnico mi sarebbe stato impossibile, glielo ricordai ma lui si alterò picchiando i pugni contro la porta e gridando, per quel che riusciva, che gli avrei dovuto cercare immediatamente qualcuno altrimenti sarebbe stata la fine.
Cosi mi affrettai a chiamare una decina di numeri che cercai frettolosamente sull’elenco telefonico, nulla da fare. Poi mi venne in mente un mio collega, sapevo che aveva un fratello che lavorava in una fabbrica di frigoriferi a Roma Tiburtina. Lo chiamai ma destino volle che Mareschi dovesse aspettare fino il lunedì, Il fratello del mio collega era fuori Roma con la moglie e non sarebbe potuto venire prima di lunedì mezzogiorno. 
Il giorno seguente il tecnico gli fece visita, lo vidi entrare nell’appartamento. Decisi di rimanere nel mio nell’attesa che avesse finito per poi fargli visita. Dopo pochi minuti però lo sentii urlare, uscire sbattendo la porta e correre giù per le scale. Mi affacciai immediatamente sul pianerottolo e subito dopo bussai più volte alla sua porta ma senza alcuna risposta. Capii che l’unica cosa da fare era entrare con la forza. Alla seconda spallata la porta si aprì. Una puzza disgustosa mi assalì, un odore di marcio, di carne putrefatta aleggiava in quella stanza. Mareschi non rispose alle mie chiamate, mi aggirai per la casa non senza il timore di quello che avrei potuto scoprire. 
 
Quello che vidi sul divano non posso qui ora descrivere, tenterò di illustrare qualcosa che in tutto l’immaginario umano non esiste. Una massa informe di fango e carne in decomposizione ribolliva sul sofà, sbuffate di gas eruttavano da quell’obbrobrio spargendo sul tappeto circostante schizzi di quella putrida e maleodorante melma che aveva imbrattato tutta la stanza. Una striscia a terra di quel pantano si dirigeva verso la cucina, mi tappai il naso e la seguii. Sul tavolo poggiava un foglio sporco di quell’immonda materia con scritto: Per il dott. Alberto Canua. Caro Alberto, è basato un guasto all’impianto di refrigerazione per mettere fine al virus e alla più grande scoperta dell’umanità. Come vedi non tutto è controllabile, tanto meno la vita la cui durata è decisa dalla casualità più che dall’invecchiamento di un corpo. Ad ogni modo, la scoperta di quel maggio del 1830 in Congo è stata la rivelazione più grande che potessi avere. Sono felice di averla condivisa con te.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.