Andrea prese il foglietto
giallo su tavolo e lo osservò attentamente. «E questo sarebbe lo scarabocchio
che ti sta ossessionando da giorni?» chiese.
«Già, lo trovo ovunque: sulla
porta di casa, sul parabrezza dell’auto, sullo specchio del bagno» continuava
Ettore madido di sudore, «mi venne un colpo quando me lo ritrovai anche nel
portafogli. Quel postic giallo
spiegazzato vi è stato inserito da qualcuno, sono certo, non può esserci altra
spiegazione. Quel simbolo ha un significato, qualcuno vuole dirmi qualcosa, e
io mi fotto dalla paura».
«Sei sicuro di non averlo
disegnato tu in una serata alcolica, per chissà quale motivo, e averlo inserito
sbadatamente nel portafogli?» chiese Andrea.
«Può essere. Ma come mi
spieghi tutte le altre sue apparizioni? E poi a ripensarci bene… ne è passato
di tempo dall’ultima serata alcolica. No, credo di no. Non bevo da prima che
cominciasse tutta questa storia».
Andrea si osservava le scarpe,
seduto sulla sedia di quel bar con le gambe accavallate. Picchiettando un
motivetto con le dita sulla coscia disse: «certo che come simbolo è davvero
strano, un cerchio con sopra una croce, cosa vorrà mai dire?».
«Non ne ho idea amico, e non
avrei mai voluto occuparmene. Ma la cosa…» Ettore d’un tratto troncò il
discorso, si portò una mano alla bocca, mentre con l’altra si massaggiava il
ventre. Poi si alzò di scatto e corse in bagno. Dopo circa venti minuti
riapparve. Volto cereo e occhi spenti.
«Tutto bene?» Chiese Andrea.
«A dire il vero non lo so più»
rispose Ettore «sono giorni che ho la nausea, vomito, mal di testa. L’altro
giorno sono anche svenuto. Ho fatto degli esami ma non risulta nulla, pare io
sia sano come un pesce».
«Credi ci sia un collegamento
con i simboli? Cioè voglio dire: i tempi tra l’apparizione del tuo malessere e
quella dei simboli combaciano?».
Ettore ruotò il collo a occhi
chiusi, nel tentativo di sciogliere una tensione che lo teneva rigidamente
incollato sulla sedia. «Ora che mi ci fai pensare… sì, può essere» rispose «non
sarà per caso che io stia impazzendo? Come la vedi tu?»
Andrea sorrise scuotendo la
testa, si alzò e gli si avvicinò appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Fratello, credo tu ti stia preoccupando inutilmente. Forse è solo una banale
influenza. E a quei disegni insignificanti invece io non presterei troppa
attenzione. Vedrai che tutto si risolverà, e ci berremo sopra, e ci rideremo
sopra».
«Già» rispose Ettore con poca
convinzione.
Era ormai giunta mezzanotte e
i due decisero che fosse ora di rientrare. Uscirono dal bar e s’incamminarono
verso casa. Abitavano a pochi isolati dal locale, non distanti tra loro.
Durante il tragitto Andrea tentò in tutti i modi di parlare d’altro. Per quanto
provò a non dare importanza a quella storia dei simboli, il mistero che ne celava,
la preoccupazione di Ettore e il buio pesto di quella strana notte, lo intimorivano.
Sentimento che pervase lentamente la tranquillità del suo animo, minandone
l’equilibrio. In Ettore invece, ansia e inquietudine crescevano con il progredire
dei passi rumorosi. Nonostante le continue parole di Andrea, sembravano replicarsi
tra i silenti vicoli attraversati velocemente.
A un tratto un rumore proveniente
da una viuzza traversa attirò l’attenzione di Ettore, si arrestò di colpo
voltandosi in quella direzione. Andrea, che non essendosi accorto di nulla si fermò
due metri dopo, gli si accostò e fece lo stesso. La fioca luce di un lampione nel buio vicolo illuminava un passeggino da cui, quasi impercettibili,
piagnistei parevano giungere alle loro incredule orecchie.
I due, senza esitazione alcuna,
si addentrarono nel vicolo attirati anche dai gemiti di quella che poteva
sembrare una giovane creatura abbandonata. Non appena s’immisero nella via, Ettore
avvertì nuovamente la sensazione di nausea che lo aveva colto al bar poco
prima, rallentò, si fermò appoggiandosi alle mura logore del vicolo e cominciò
a vomitare. Andrea invece proseguì come incapace di liberarsi da un
incantesimo. I piagnistei si arrestarono.
Mentre si puliva la
bocca dai residui di vomito tra un conato e l’altro, Ettore lo vide immobile davanti a
quella strana carrozzina. Non appena riuscì a sedare il suo malessere, gli si
avvicinò chiamandolo per nome e scuotendolo per una spalla ma Andrea sembrava
entrato in uno stato di trance. Era in piedi, rigido, con gli occhi
completamente spalancati, privi d’iride e di pupilla sulla cui sclera si
estendeva una ragnatela di capillari. Nella carrozzina nera dalle grandi ruote
bianche vi era adagiata una bambina all’apparenza normalissima. Sennonché
aperse i suoi grandi occhi, sproporzionati al viso, la cui pupilla dilatata
pareva distendersi sull’intero bulbo. La testa adornata da un cappellino in
pizzo bianco era appoggiata su un cuscino di raso rosso, così come rossa era
la trapunta che rivestiva l’interno della carrozzina, arricchito poi da pizzo
macramè su cui ricamato vi era un simbolo, quel simbolo: un cerchio con una croce. Un feretro insomma, dove sorridente sedeva l’orripilante infante.
Ettore ansimava. Si fece
coraggio e appoggiò una mano sulla coperta che dal petto in giù la copriva. Ma
sotto di essa qualcosa di strano, d’incomprensibile, pareva agitarsi. Nervoso
strinse il pugno della mano afferrando il plaid, e in un istante la scoperchiò.
Un urlo e cadde a terra, in ginocchio con la faccia tra le mani cominciò a
piangere mentre il ricordo riemergeva dalla sua mente.
La bambina dai grandi occhi
neri si librò nell’aria sopra la sua testa. Le dimensioni del suo corpo
aumentarono rapidamente fino a raggiungere e superare i due metri e mezzo
d’altezza. Dal busto in giù lunghi tentacoli si dimenavano durante la
trasformazione, con spaventose vibrazioni che raggiungevano anche l’angolo più
remoto dell’oscuro vicolo.
«No! No! Non farlo mia
Signora, te ne prego. Non lui, è come un fratello per me» singhiozzava Ettore
evitandone lo sguardo.
«Mio caro, ricordi? Sei un Proxy,
devi eseguire le volontà del Signore, sei stato scelto per questo, o tu o lui,
scegli». Ettore scuoteva la testa in senso di negazione, di protesta. «O tu o
lui, scegli!»
«Parlane con Lui, te ne prego» rispose
tremante Ettore.
«Disturbare il Signore per i
tuoi sentimentalismi? Non è il caso. Scegli!»
Ettore sospirò e poi sussurrò: «lui»
«Hai scelto» disse soddisfatta
la terrificante entità «così come hai scelto altre volte, e come altre volte
dimenticherai tutto, tranne il simbolo che ci appartiene, così come ci
appartieni tu».
I neri tentacoli poi avvolsero
Andrea ancora in trance. Quel mostro, di cui Ettore non ricordava già più
nulla, scomparve tra i vicoli oscuri della città assopita, mentre l’ennesimo
foglietto giallo cadeva leggero sulla sua testa.
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