L'eredità - audioracconto
L’eredità
Sono di origini siciliane, mio padre è nato e cresciuto a
Borgo Scurati, mia madre a Trapani. Il mio nome è Cosimo e con mio rammarico
non ho mai messo piede in Sicilia. Ora che anche mio padre è morto, ho deciso
di partire e visitare i miei luoghi di origine.
Ciò che mi spinge a visitare l’isola sono le parole che
mio padre ebbe la forza di ripetere anche in punto di morte. Quella che io ho
sempre considerato come una leggenda, da quando per la prima volta mi fu
raccontata, ora, con la sua morte e il suo ultimo desiderio, mi appare diversa.
Non che io cominci a credere a quella strana storia, ma se un uomo in punto di
morte t’induce a promettergli di recarti al più presto alle grotte Scurati, in
un preciso punto, con la luna piena, nel mese di luglio per incontrare il
Condottiero ritratto da Antonello da Messina e riferirgli che tuo padre era
passato a miglior vita, beh… sì insomma una reazione dovresti anche averla.
Al momento non feci caso alle sue parole, deliri
pre-morte pensai. Ma la parola eredità, “la tua eredità” per l’esattezza, frase
sussurrata al termine della sua strana richiesta, mi fece riconsiderare tutta
l’intera questione.
Questa storia del Condottiero durava da anni, leggenda di
paese che mio padre mi raccontava da quando ero ragazzo, così come si ostinava
a ritenere di essere un discendente di Antonello da Messina. In casa poi non
erano mai mancati libri e stampe
sull'argomento. Grazie a mio padre mi feci una cultura a riguardo, ma nulla mi
convinse mai che fossimo i discendenti diretti di da Messina.
L’atterraggio a Palermo è previsto per le ore dieci, sono
emozionato. All'aeroporto mi sta attendendo Gustavo, il cugino di mio padre,
vive tuttora a Borgo Scurati e mi ospiterà per tutto il tempo. Di Gustavo non
so nulla, nemmeno com'è fatto fisicamente, non l’ho mai visto, spero si sia
inventato qualcosa per farsi riconoscere.
Al terminal ci sono parecchie persone ad aspettare ma il
mio uomo è impossibile non notarlo. Un basso omino stringe tra le mani un
grande cartello, ad altezza viso, su cui sta scritto in pennarello “Cosimo il benvenuto
sei/Gustavo sta qua”. Mi dirigo verso di lui: “Gustavo?”
“Sì signore” mi risponde liberandosi velocemente del
cartello “sei Cosimino?”
“Sì sono… Cosimino” e mi abbraccia con foga, sopra la vita
con la testa sul mio petto. Io faccio lo
stesso abbracciandogli la testa.
Mentre Gustavo guida, io osservo il paesaggio.
“Gustavo” gli chiedo “papà mi parlava di una grotta sotto
il grande ulivo, che ci andava da quando era ragazzo, tu sapresti dirmi
dov'è?"
“Certo che sì, io e tuo padre ci andavamo insieme a
quella grotta, ora ti ci porto”.
“Sai che strana pretesa aveva mio padre?” continuo “quella
di appartenere alla discendenza diretta di Antonello da Messina, l’ha ripetuto
per tutta la vita, ma io non ci ho mai creduto”.
Guastavo ride, “Sai cos'è un’ingiuria?” mi chiede, ”un
appellativo che si dà alle persone per identificarle in base a quello che hanno
fatto o che gli è accaduto. Si usa molto in Sicilia e tuo padre era
soprannominato Antonello qua in paese, e non per una discendenza con il maestro
ma più per quello che lui stesso raccontava, e cioè di esserne il discendente e
di possedere la copia originale dell’opera intitolata poi il Condottiero, che
sosteneva non essere il suo vero titolo”.
“L’opera originale è al museo del Louvre, se non erro”.
“E che ne so io, così dicono”
“E quale sarebbe il titolo originale?” chiedo.
“Ettore, era il ritratto di Ettore, un suo coetaneo che
pare sia stato ucciso durante una lite dallo stesso Antonello, per una femmina.
Molto siciliano non credi?”
“Altroché” rispondo esterrefatto.
“Eh che vuoi farci figlio mio, la Sicilia è terra calda,
la femmina bolle e l’uomo brucia nelle fiamme dell’inferno” conclude mentre
arriviamo a destinazione.
La grotta si trova proprio sotto un grande ulivo. Entriamo.
Non vedo null'altro che pareti in roccia e niente che possa far pensare al
passaggio di qualcuno. Frugo in ogni suo angolo con la speranza di trovare
tracce della mia eredità.
Il sole ora è alto, raggi luminosi filtrano
perpendicolarmente da due fori nella roccia che passa sopra la mia testa
illuminando precisi punti del suolo. Forse dovrei scavare, ma abbandono l’idea,
tornerò la notte di luna piena, come indicava papà.
E’ una serata stupenda, la luna bassa è piena e la luce
emessa illumina a giorno l’intera vallata. Mi sono organizzato per passare la
notte: lampade, sacco a pelo, viveri, birra e tabacco.
Tutto tace, bevo una birra, mi accendo una sigaretta, poi
un’altra. Nulla. Sono quasi le undici, la luna è alta ora e dai fori, notati in
tarda mattinata, entra una sottile luce che illumina una pietra al centro della
grotta. Vedo brillare qualcosa, mi alzo e mi avvicino, con mia sorpresa ci
trovo una tela dipinta incorniciata che riconosco come il Condottiero. Non capisco
come possa esserci arrivata, sono certo di aver controllato ogni angolo di
questa grotta. La raccolgo, mi siedo spalle alla roccia, la poggio sulle
ginocchia e con la mano tento di pulirla dalla polvere accarezzandola. A un
tratto una voce “Hei, hei fermatevi Gianquinto, ci sono, ci sono. Vuole per
caso cancellarmi?” Mi giro di scatto con ancora la tela tra le mani, ma non
vedo nessuno. Chi ha fatto il nome di mio padre, e dovrei fermarmi a far cosa?
Mi concentro nuovamente sulla tela, la guardo e ho l’impressione che lei guardi
me. Ha un’espressione diversa, il Condottiero sembra teso e forse sarà la luce
che cambia, ma sono certo di avergli visto sbattere il ciglio.
Avvicino il dito indice al suo occhio con l’intenzione di
stuzzicarlo e il ritratto si gira dall'altra parte gridando “Ma che fate! Chi
siete e dov'è Gianquinto!?” Mi alzo di scatto spaventato lasciando cadere a
terra la tela. “Ma cosa siete!?” gli grido.
“Io? Voi non dovreste sapere neanche che io esisto! Chi
siete voi?”
“Io sono il figlio di Gianquinto. Lui mi ha detto di
venire qua”
“E lui dov'è?”
“E’ morto. Ma… lei è il Condottiero?”
“Povero Gianquinto. Ma quale Condottiero, io sono Ettore.
Una cicatrice sul labbro e hanno deciso di chiamarmi il Condottiero. Avrebbero
dovuto chiamarmi il traditore, e Antonello ne sa qualcosa”.
“Antonello da Messina?” chiedo.
“Proprio lui, il mio creatore, non prima d’essere stato
mio distruttore”.
“La storia della femmina?”
“Già, mi uccise per quella donna. Poi per rimorso decise
di dipingermi, ma non su una tela, su uno strato di pelle essiccata del suo
corpo che si fece asportare soffrendo le pene dell’inferno. La punizione che
meritava, disse”.
Con il dipinto sempre a terra, che non oso toccare dico:
“Questo non chiarisce però perché la tela parli, ossia lei parla, sì cioè… che
razza di magia è? E cosa c’entra mio padre con tutto questo? ”.
“Né io né Antonello fummo in grado di capire mai che
razza di magia fosse avvenuta al suo dipinto. Pensammo a qualcosa di divino, Il
buon Dio voleva forse restituirmi la vita perduta ingiustamente e allo stesso
modo accettare il pentimento di Antonello, perdonandolo e regalando alla sua
arte la vita che da sempre l’artista insegue nelle sue opere. Lo accettammo, ma
sorse un problema: se il mondo avesse saputo di questa strana magia, ci
avrebbe santificato o bruciati vivi? Era troppo rischioso per entrambi e
convenimmo che la cosa dovesse rimanere segreta fino a quando non sarebbe
giunto il tempo giusto. E così passai di mano in mano di generazione in
generazione, in segreto fino a oggi. Mi mostro due volte l’anno, nella prima
luna piena di luglio e di marzo, in questa stessa grotta che solo i miei
discendenti conoscono”.
“Ma allora secondo il tuo racconto mio padre è un
discendente di Antonello da Messina?”.
“Anche voi lo siete” risponde Ettore “e ora che vostro
padre ci ha lasciato, sono nelle vostre mani”.
Mi avvicino e
raccolgo delicatamente la tela. Ci guardiamo intensamente, poi lui mi sussurra:
“Ben ritrovato Antonello”. Gli sorrido e rispondo “Il mondo ti riconoscerà
Ettore, il momento è quello giusto”.
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