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giovedì 26 maggio 2016

L'eredità - audioracconto


L'eredità - audioracconto



L’eredità
 
Sono di origini siciliane, mio padre è nato e cresciuto a Borgo Scurati, mia madre a Trapani. Il mio nome è Cosimo e con mio rammarico non ho mai messo piede in Sicilia. Ora che anche mio padre è morto, ho deciso di partire e visitare i miei luoghi di origine.
Ciò che mi spinge a visitare l’isola sono le parole che mio padre ebbe la forza di ripetere anche in punto di morte. Quella che io ho sempre considerato come una leggenda, da quando per la prima volta mi fu raccontata, ora, con la sua morte e il suo ultimo desiderio, mi appare diversa. Non che io cominci a credere a quella strana storia, ma se un uomo in punto di morte t’induce a promettergli di recarti al più presto alle grotte Scurati, in un preciso punto, con la luna piena, nel mese di luglio per incontrare il Condottiero ritratto da Antonello da Messina e riferirgli che tuo padre era passato a miglior vita, beh… sì insomma una reazione dovresti anche averla.

Al momento non feci caso alle sue parole, deliri pre-morte pensai. Ma la parola eredità, “la tua eredità” per l’esattezza, frase sussurrata al termine della sua strana richiesta, mi fece riconsiderare tutta l’intera questione.
Questa storia del Condottiero durava da anni, leggenda di paese che mio padre mi raccontava da quando ero ragazzo, così come si ostinava a ritenere di essere un discendente di Antonello da Messina. In casa poi non erano mai mancati  libri e stampe sull'argomento. Grazie a mio padre mi feci una cultura a riguardo, ma nulla mi convinse mai che fossimo i discendenti diretti di da Messina.

L’atterraggio a Palermo è previsto per le ore dieci, sono emozionato. All'aeroporto mi sta attendendo Gustavo, il cugino di mio padre, vive tuttora a Borgo Scurati e mi ospiterà per tutto il tempo. Di Gustavo non so nulla, nemmeno com'è fatto fisicamente, non l’ho mai visto, spero si sia inventato qualcosa per farsi riconoscere.
Al terminal ci sono parecchie persone ad aspettare ma il mio uomo è impossibile non notarlo. Un basso omino stringe tra le mani un grande cartello, ad altezza viso, su cui sta scritto in pennarello “Cosimo il benvenuto sei/Gustavo sta qua”. Mi dirigo verso di lui: “Gustavo?”
“Sì signore” mi risponde liberandosi velocemente del cartello “sei Cosimino?”
“Sì sono… Cosimino” e mi abbraccia con foga, sopra la vita con la testa sul mio petto.  Io faccio lo stesso abbracciandogli la testa.

Mentre Gustavo guida, io osservo il paesaggio.
“Gustavo” gli chiedo “papà mi parlava di una grotta sotto il grande ulivo, che ci andava da quando era ragazzo, tu sapresti dirmi dov'è?"
“Certo che sì, io e tuo padre ci andavamo insieme a quella grotta, ora ti ci porto”.
“Sai che strana pretesa aveva mio padre?” continuo “quella di appartenere alla discendenza diretta di Antonello da Messina, l’ha ripetuto per tutta la vita, ma io non ci ho mai creduto”.
Guastavo ride, “Sai cos'è un’ingiuria?” mi chiede, ”un appellativo che si dà alle persone per identificarle in base a quello che hanno fatto o che gli è accaduto. Si usa molto in Sicilia e tuo padre era soprannominato Antonello qua in paese, e non per una discendenza con il maestro ma più per quello che lui stesso raccontava, e cioè di esserne il discendente e di possedere la copia originale dell’opera intitolata poi il Condottiero, che sosteneva non essere il suo vero titolo”.
“L’opera originale è al museo del Louvre, se non erro”.
“E che ne so io, così dicono”
“E quale sarebbe il titolo originale?” chiedo.
“Ettore, era il ritratto di Ettore, un suo coetaneo che pare sia stato ucciso durante una lite dallo stesso Antonello, per una femmina. Molto siciliano non credi?”
“Altroché” rispondo esterrefatto.
“Eh che vuoi farci figlio mio, la Sicilia è terra calda, la femmina bolle e l’uomo brucia nelle fiamme dell’inferno” conclude mentre arriviamo a destinazione.
La grotta si trova proprio sotto un grande ulivo. Entriamo. Non vedo null'altro che pareti in roccia e niente che possa far pensare al passaggio di qualcuno. Frugo in ogni suo angolo con la speranza di trovare tracce della mia eredità.
Il sole ora è alto, raggi luminosi filtrano perpendicolarmente da due fori nella roccia che passa sopra la mia testa illuminando precisi punti del suolo. Forse dovrei scavare, ma abbandono l’idea, tornerò la notte di luna piena, come indicava papà.

E’ una serata stupenda, la luna bassa è piena e la luce emessa illumina a giorno l’intera vallata. Mi sono organizzato per passare la notte: lampade, sacco a pelo, viveri, birra e tabacco.
Tutto tace, bevo una birra, mi accendo una sigaretta, poi un’altra. Nulla. Sono quasi le undici, la luna è alta ora e dai fori, notati in tarda mattinata, entra una sottile luce che illumina una pietra al centro della grotta. Vedo brillare qualcosa, mi alzo e mi avvicino, con mia sorpresa ci trovo una tela dipinta incorniciata che riconosco come il Condottiero. Non capisco come possa esserci arrivata, sono certo di aver controllato ogni angolo di questa grotta. La raccolgo, mi siedo spalle alla roccia, la poggio sulle ginocchia e con la mano tento di pulirla dalla polvere accarezzandola. A un tratto una voce “Hei, hei fermatevi Gianquinto, ci sono, ci sono. Vuole per caso cancellarmi?” Mi giro di scatto con ancora la tela tra le mani, ma non vedo nessuno. Chi ha fatto il nome di mio padre, e dovrei fermarmi a far cosa? Mi concentro nuovamente sulla tela, la guardo e ho l’impressione che lei guardi me. Ha un’espressione diversa, il Condottiero sembra teso e forse sarà la luce che cambia, ma sono certo di avergli visto sbattere il ciglio.
Avvicino il dito indice al suo occhio con l’intenzione di stuzzicarlo e il ritratto si gira dall'altra parte gridando “Ma che fate! Chi siete e dov'è Gianquinto!?” Mi alzo di scatto spaventato lasciando cadere a terra la tela. “Ma cosa siete!?” gli grido. 
“Io? Voi non dovreste sapere neanche che io esisto! Chi siete voi?”
“Io sono il figlio di Gianquinto. Lui mi ha detto di venire qua”
“E lui dov'è?”
“E’ morto. Ma… lei è il Condottiero?”
“Povero Gianquinto. Ma quale Condottiero, io sono Ettore. Una cicatrice sul labbro e hanno deciso di chiamarmi il Condottiero. Avrebbero dovuto chiamarmi il traditore, e Antonello ne sa qualcosa”.
“Antonello da Messina?” chiedo.
“Proprio lui, il mio creatore, non prima d’essere stato mio distruttore”.
“La storia della femmina?”
“Già, mi uccise per quella donna. Poi per rimorso decise di dipingermi, ma non su una tela, su uno strato di pelle essiccata del suo corpo che si fece asportare soffrendo le pene dell’inferno. La punizione che meritava, disse”.
Con il dipinto sempre a terra, che non oso toccare dico: “Questo non chiarisce però perché la tela parli, ossia lei parla, sì cioè… che razza di magia è? E cosa c’entra mio padre con tutto questo? ”.
“Né io né Antonello fummo in grado di capire mai che razza di magia fosse avvenuta al suo dipinto. Pensammo a qualcosa di divino, Il buon Dio voleva forse restituirmi la vita perduta ingiustamente e allo stesso modo accettare il pentimento di Antonello, perdonandolo e regalando alla sua arte la vita che da sempre l’artista insegue nelle sue opere. Lo accettammo, ma sorse un problema: se il mondo avesse saputo di questa strana magia, ci avrebbe santificato o bruciati vivi? Era troppo rischioso per entrambi e convenimmo che la cosa dovesse rimanere segreta fino a quando non sarebbe giunto il tempo giusto. E così passai di mano in mano di generazione in generazione, in segreto fino a oggi. Mi mostro due volte l’anno, nella prima luna piena di luglio e di marzo, in questa stessa grotta che solo i miei discendenti conoscono”.
“Ma allora secondo il tuo racconto mio padre è un discendente di Antonello da Messina?”.
“Anche voi lo siete” risponde Ettore “e ora che vostro padre ci ha lasciato, sono nelle vostre mani”.
 Mi avvicino e raccolgo delicatamente la tela. Ci guardiamo intensamente, poi lui mi sussurra: “Ben ritrovato Antonello”. Gli sorrido e rispondo “Il mondo ti riconoscerà Ettore, il momento è quello giusto”.

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