Gli regalarono il dono più bello, qualcosa che lo faceva
sentire felice, un regalo che attendeva da anni.
Non è importante che voi sappiate cosa, ciò che conta è quanto lui desiderava possedere quel regalo.
Era composto da
elementi che avrebbe dovuto assemblare.
Ci voleva tempo, diversi giorni forse, e le sue piccole
mani e la bassa statura limitavano la messa in opera della parte alta, ma il
suo ingegno era tale che nulla lo avrebbe fermato, tanto meno un problema
d’altezza.
Ricordo che non perse tempo: la sera stessa cominciò ad
assemblare i pezzi uno a uno, con la fretta e la tenacia di chi non sa
resistere, di chi non vede l’ora di ammirare l’opera compiuta.
I suoi occhi brillavano da quanto era appagato e sembrava
accarezzare quegli oggetti ogni qualvolta ne prendeva uno tra le mani.
Tutte le volte che un nuovo pezzo si andava a incastrare
al proprio posto, lui si fermava, si allontanava di un metro e restava in
ammirazione, immaginando come avrebbe potuto essere grande e forte quando
finito.
Aveva recuperato in fretta e furia
cassette vuote dell’acqua minerale in bottiglie di vetro, quelle di plastica da
nove: sono resistenti a sufficienza e si possono impilare una sull’altra. In questo
modo sarebbe riuscito, nei giorni a venire, quando era tempo di finire la cima
più alta, a raggiungere qualsiasi altezza.
Non gli mancavano coraggio e l’astuzia al giovane
sognatore.
Un giorno però qualcuno d’inaspettato raggiunse la sua
stanza. I vicini di casa, con la loro piccola bambina Berta, si erano
trasferiti da qualche giorno nella casa di fronte e, quel pomeriggio, decisero
di bussare alla sua porta per le dovute presentazioni.
Berta fu presto indirizzata dagli adulti nella sua stanza, il bimbo non le riservò molte
attenzioni, era troppo impegnato con il nuovo gioco, e quando vide la bambina
manipolare i pezzi del suo regalo, se la prese a male, ma non disse nulla.
Senza mai perderla di vista la lasciò fare. Tentò
addirittura di sopprimere quel senso di gelosia e possesso che cresceva nel
vederla prendere sempre più confidenza.
Quando poi Berta e i suoi genitori decisero di andarsene,
fu un sollievo per lui. Non che Berta non gli piacesse, al contrario, ma il
desiderio di realizzare al più presto il gioco dei suoi sogni lo pervadeva.
Non riusciva a concentrarsi su altro che non fosse la sua
costruzione.
Da lì a poco riprese mano all’assemblaggio, dunque, ma una
triste rivelazione lo ferì enormemente: la scomparsa di un pezzo, un elemento
estrapolato dal cuore del gioco.
Dopo avere cercato inutilmente per tutta la stanza,
cominciava a chiedersi se Berta si fosse impossessata di quel pezzo. Dubitava
di lei adesso, tutto l’assemblaggio era a rischio ora. La rabbia lo assalì e decise di non portarlo più a termine.
Dopo alcune settimane però la fiducia riconquistò
nuovamente il suo cuore, pensava che forse un giorno quel pezzo si sarebbe
ritrovato, dopotutto serviva ancora tempo e la struttura sembrava rimanere in
piedi. Accatastò una nuova cassetta e si rimise al lavoro.
Tutto sembrava procedere per il meglio: i pezzi
s’incastravano perfettamente e la sagoma che ne veniva fuori rassomigliava
sempre più all’immagine tracciata nella sua mente quando ancora tutto questo
pareva irraggiungibile.
Il giorno seguente si presentarono alla sua porta Berta
in compagnia dell’amico Teo.
Berta gli aveva parlato del grande gioco e si era
incuriosito tanto che ora non stava più nella pelle.
Alla vista del gioco, anche Teo ne rimase affascinato e la
tentazione di toccare per esplorare fu irrefrenabile.
Si gettò sulla struttura con impeto, cominciò a tastare,
spostare, mischiare fino a che, a un certo punto, una parte della costruzione
cedette mandando su tutte le furie il povero bimbo che da giorni ci lavorava.
Passarono i giorni e la notizia del gioco misterioso
aveva fatto il giro dell’isolato. Altri bambini si erano presentati alla sua
porta e a ognuno di loro era concesso di tastare, spostare, mischiare e
rimuovere elementi di una struttura che ormai stentava a stare in piedi e
cambiava continuamente d’aspetto senza averne mai uno vero che somigliasse a
qualcosa.
Molti i pezzi persi, rubati, rotti. Il gioco misterioso
si era dissolto tra le mani di altri e così, una mattina, decise a malincuore
di demolire ciò che restava e gettarlo.
La sua stanza ora era di nuovo vuota, ricolma solo di
sogni irrealizzati.
Bambini dell’isolato trattenevano pezzi del suo gioco
che, soli, avevano poca utilità.
Si era liberato di ogni elemento. Non aveva alcun senso
possedere solo alcune parti inutilizzabili se non per collezionarne
l’esistenza, ma il collezionismo non era tra i suoi hobby preferiti. Non
avrebbe mai accumulato componenti di giochi inservibili e men che meno non
suoi. Gli incastri non avrebbero funzionato e sarebbe stato breve godimento.
Il suo era un desiderio più grande; un gioco
perfettamente funzionante che solo con tutti i pezzi a disposizione si poteva
realizzare.
La sua generosità, dunque, non era stata ricompensata;
nonostante avesse accettato che altri manipolassero i fragili elementi del
gioco, nonostante avesse soppresso paura e gelosia per un regalo tanto atteso,
nonostante tutto il lavoro, la pazienza e la fiducia concessa a chiunque fosse
entrato in quella stanza, nonostante tutto questo, aveva perso.
Non aveva perso però la voglia di sognare, al contrario,
i suoi sogni erano diventati più forti e reali; aveva compreso che mai
nessuno avrebbe potuto smarrire o rubare gli elementi da cui sono composti,
perché esistevano solo nella sua testa e, a quella porta, nessuno mai avrebbe
bussato e i giochi sarebbero rimasti intatti, reali e forse perfettamente
funzionanti.
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