E’ da qui che voglio partire, da questa frase letta nell’articolo
del 2 maggio di Alberto Asquini de Il Fatto Quotidiano (Primo maggio, il
concertone dell’incoerenza).
Sì, proprio quel giornale. Stupefatti? Me ne rendo conto,
eppure, checché se ne dica sul mio conto, riesco ancora a posare il mio sguardo
anche su ciò che più mi disgusta, è zia speranza che mi fornisce di tale forza.
E’ più un desiderio di sorprendere la mia rassegnazione quello di sfogliare i giornali tutti, e a volte mi da ragione, se pur in minima parte.
E’ più un desiderio di sorprendere la mia rassegnazione quello di sfogliare i giornali tutti, e a volte mi da ragione, se pur in minima parte.
L’omologazione che diamo per scontato, quando si guarda in
casa altrui, non è garantita. Ovvio no?
Eppure, quella frase ragionevolmente imputata al
popolo del primo Maggio diventa, ai miei occhi, un limite ignoto anche per Asquini
che scrive per un giornale che con l’omologazione, in senso giornalistico, ne
ha fatti lauti compensi. Ma lui non ha peccato
per il semplice fatto che scrive per campare e pubblica per chi meglio lo paga,
al contrario, è lui stamattina la mia sorpresa infognata in un omologato,
riconosciuto e conforme pantano giornalistico.
Chi di noi si sente omologato in un’idea, un pensiero,
una moda o uno stile? Nessuno immagino, ci sentiamo sempre così lontani dall’odiato
conformismo quando invece, nell’allontanarci, non facciamo che spostarci unicamente in angoli diversi di una stessa stanza, in gruppi numerosi, dividendo
semplicemente l’omologazione in più parti. Tutto questo nell’inconsapevolezza
assoluta che ci permette di giudicare chi vive nell’angolo opposto al nostro come
un banale e definibile prodotto del sistema.
E per dimostrare a noi stessi di non appartenere a quel
genere di omologazione, ci presentiamo in massa al concertone del primo maggio
con canotte e shorts o dread/rasta, spinelli e cani, parlando di ecologia, no tav,
ascoltando la solita musica e sventolando bandiere arcobaleno.
Il tutto sentendosi profondamente (e aggiungerei comicamente) diversi
dalla massa in una piazza gremita, senza minimamente percepire che la
massa da cui fuggiamo è lì e veste come noi, parla come noi, inveisce come noi e come noi non
si accorge che l’omologazione piomba silente in ogni tipo di aggregazione, perché
le aggregazioni, e di conseguenza le omologazioni, nascono tra uomini similari, conformi a un’idea, uno stile, e
non tra anime diverse, insolite e singolari.
Ne deduco che il riconoscersi, l’appartenere, e quindi forse
l’essere omologati, sono una necessità per molti, se non per tutti. Ma guai a
parlarne! Meglio fingere anche con se stessi sulla propria singolarità cercando di spacciare,
sempre e comunque, le proprie idee come libere e non conformi al sistema, anche se partecipate e condivise con milioni
di persone corrispondenti al nostro essere.
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