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mercoledì 25 marzo 2015

Le Belle Arti

Cornici di gesso dell’ottocento da riportare all’antico splendore. Decenni e decenni di traspirante maldestramente posato da quegli assassini d’imbianchini che, senza cura alcuna, succedendosi negli anni, hanno stratificato rendendo quei capolavori scultorei sagome informi, seppellite sotto una bianca glassa, in un unico soffocante corpo.
Fermi tutti! arrivano quelli delle Belle Arti.
Arriva l’equipe, gli esperti salveranno quelle storiche cornici.
Attendo con ansia, il lavoro che avrei dovuto svolgere è sospeso fino al nuovo ordine. Estraggo il mio tabacco dalla tasca e mi rollo una sigaretta, non posso fare altro. Chi mi ha posato qui, qui verrà a riprendermi alla fine del pomeriggio
Esco dal locale che si affaccia sulla piazza, fumerò la mia sigaretta qui, osservando i passanti e immaginando a come sarebbe diverso se chi dovesse arrivare ora fossi io; l’esperto che usa le sue mani miracolose per tutelare creazioni preziose, per liberare la storia da cumuli di tempo e mostrarla al mondo.
Esamino la gente che affolla la piazza e mi chiedo: che presenza avranno? Già, che aspetto potrei avere? Con la passione che si richiede, la conoscenza, la praticità, la fermezza, la sensibilità, la dedizione, che aria potrei avere? Comincio così a giocare con le figure che corrono per la piazza, in fondo non mi rimane molto da fare. Misuriamo il mio intuito, mi dico, l’equipe dovrebbe arrivare da un momento all’altro, sarò in grado di riconoscerli ancor prima delle presentazioni?

Là, potrebbero essere loro, lui ha un cappello in testa, nero, tipo Borsalino, indossa un vestito insignificante. Chi lo accompagna è più giovane, sulla quarantina. Anche lui con un vestito insignificante. Porta la barba.

Alla mia destra, lei ha i capelli raccolti, jeans e giubba blu. Ha uno zaino, forse attrezzi o un cambio. E’ accompagnata da un pallido volto più giovane, due occhi neri persi nel vuoto che sanno di arte celata.

Ah eccoli! Sono sicuramente questi tre. L’uomo sta in mezzo e discute con la donna alla sua sinistra, indossa un cappotto verde vecchio stile. Porta gli occhiali da vista e ha la barba, oserei dire lunga. Ai piedi indossa scarpe nere, somigliano molto a orribili mocassini. La donna con cui discute è brizzolata, anche lei con gli occhiali, ha una borsa in cuoio a tracolla, pantaloni blu e giacca in jeans. C’è un'altra ragazza con loro e.
Hanno svoltato a destra uscendo dalla mia visuale. Non sono loro.

Mi sono rotto di questo gioco, vado a prendermi un caffè. Il bar è giusto in faccia, dall’altra parte della piazza. Entro, ordino il mio caffè, la morettina tatuata dietro il banco mi sorride e domanda:
-“Lavori alla pasticceria di fronte? “
- “Sì” Gli rispondo
-“Ho sentito che avete un bel da fare la dentro”  
-“Pare di sì, il palazzo è storico e restauri da fare ce ne sono molti” gli dico.
Il mio caffè è pronto, me lo serve con fare gentile poi..
-“Allora tu devi essere quello delle Belle Arti?” Ecco, intuizione errata, penso.
- “ In realtà li sto aspettando, io sono l’imbianchino”.
E voilà, si conclude qui l’interrogatorio. Abbiamo dunque forse gli stessi interessi? penso, voltandomi in direzione del locale che dalle vetrate del bar si vede chiaramente. E in quel preciso istante vedo la coda di una fila di quattro persone entrare in cantiere, la porta si chiude alle sue spalle. Saranno arrivati? La morettina, non più sorridente, mi da il resto della banconota che avevo appoggiato sul bancone, lo afferro ed esco immediatamente.
Attraverso la piazza, rapido, ed entro. Ci siamo, sono arrivati quelli delle Belle Arti, addobbati di cappelli, cappucci, lana, sciarpe, foulard, pantaloni larghi e borse a tracolla in stoffa, chignon per gli uomini, taglio corto le donne. Mi presento, “Ah, tu sei l’imbianchino”, e subito m’informa che le cornici di gesso non vanno assolutamente imbiancate e che ci penseranno loro alla rifinitura. Dopo averle pulite e restaurate.
Poi, l’altezzoso direttore lavori, seguito dai suoi collaboratori, come un medico tra la corsia di un ospedale, si fa un giro per il locale consegnando a ciascuno un compito.  E se ne va.
I tre rimasti prendono il loro posto, attrezzi alla mano, cominciano il lavoro. Non prima di aver estratto dalla tasca il cellulare. Un rapido sguardo, qualcuno risponde al messaggino e si comincia. Si scrosta la cornice con un coltellino, un colpo di fono, per ammorbidire la pittura, e di nuovo il coltellino.
Suona  un cinguettio, proviene da un cellulare, l’esperto risponde. Un altro cinguettio, da un altro cellulare, anche lui risponde.  Poi nuovamente all’opera fino al prossimo cinguettio, che non tarda ad arrivare. Sono a portata di mano degli esperti ormai, poggiano sull’asse del trabattello mentre la battaglia per chi più seduce tra loro e le antiche cornici si fa sempre più dura.

Non so rispondermi e non voglio, quello cui ho assistito è un’eccezione, così ordino al pensiero.
Il pomeriggio è giunto al termine, mi raccolgono e mi riportano a casa.
E penso alla tela sul cavalletto che mi aspetta.


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