Cornici di gesso dell’ottocento da riportare all’antico splendore. Decenni e
decenni di traspirante maldestramente posato da quegli assassini d’imbianchini
che, senza cura alcuna, succedendosi negli anni, hanno stratificato rendendo
quei capolavori scultorei sagome informi, seppellite sotto una bianca glassa,
in un unico soffocante corpo.
Fermi tutti! arrivano quelli delle Belle Arti.
Arriva l’equipe, gli esperti salveranno quelle storiche
cornici.
Attendo con ansia, il lavoro che avrei dovuto svolgere è sospeso fino al nuovo ordine. Estraggo il
mio tabacco dalla tasca e mi rollo una sigaretta, non posso fare altro. Chi mi
ha posato qui, qui verrà a riprendermi alla fine del pomeriggio
Esco dal locale
che si affaccia sulla piazza, fumerò la mia sigaretta qui, osservando i
passanti e immaginando a come sarebbe diverso se chi dovesse arrivare ora fossi
io; l’esperto che usa le sue mani miracolose per tutelare
creazioni preziose, per liberare la storia da cumuli di tempo e mostrarla al
mondo.
Esamino la gente che affolla la piazza e mi chiedo: che presenza avranno? Già, che aspetto potrei avere? Con la passione che
si richiede, la conoscenza, la praticità, la fermezza, la sensibilità, la
dedizione, che aria potrei avere? Comincio così a giocare con le figure che corrono per la
piazza, in fondo non mi rimane molto da fare. Misuriamo
il mio intuito, mi dico, l’equipe dovrebbe arrivare da un momento all’altro,
sarò in grado di riconoscerli ancor prima delle presentazioni?
Là, potrebbero essere loro, lui ha un cappello
in testa, nero, tipo Borsalino, indossa un vestito insignificante. Chi lo
accompagna è più giovane, sulla quarantina. Anche lui con un vestito
insignificante. Porta la barba.
Alla mia destra, lei ha i capelli raccolti, jeans e
giubba blu. Ha uno zaino, forse attrezzi o un cambio. E’ accompagnata da un
pallido volto più giovane, due occhi neri persi nel vuoto che sanno di arte
celata.
Ah eccoli! Sono sicuramente questi tre. L’uomo sta in
mezzo e discute con la donna alla sua sinistra, indossa un cappotto verde
vecchio stile. Porta gli occhiali da vista e ha la barba, oserei dire lunga. Ai
piedi indossa scarpe nere, somigliano molto a orribili mocassini. La donna con
cui discute è brizzolata, anche lei con gli occhiali, ha una borsa in cuoio a
tracolla, pantaloni blu e giacca in jeans. C’è un'altra ragazza con loro e.
Hanno svoltato a destra uscendo dalla mia visuale. Non sono loro.
Hanno svoltato a destra uscendo dalla mia visuale. Non sono loro.
Mi sono rotto di questo gioco, vado a prendermi un caffè.
Il bar è giusto in faccia, dall’altra parte della piazza. Entro, ordino il mio
caffè, la morettina tatuata dietro il banco mi sorride e domanda:
-“Lavori alla pasticceria di fronte? “
- “Sì” Gli rispondo
-“Ho sentito che avete un bel da fare la dentro”
-“Pare di sì, il palazzo è storico e restauri da fare ce
ne sono molti” gli dico.
Il mio caffè è pronto, me lo serve con fare gentile poi..
-“Allora tu devi essere quello delle Belle Arti?” Ecco,
intuizione errata, penso.
- “ In realtà li sto aspettando, io sono l’imbianchino”.
E voilà, si conclude qui l’interrogatorio. Abbiamo dunque forse gli stessi
interessi? penso, voltandomi in direzione del locale che dalle vetrate del bar
si vede chiaramente. E in quel preciso istante vedo la coda di una fila di
quattro persone entrare in cantiere, la porta si chiude alle sue spalle.
Saranno arrivati? La morettina, non più sorridente, mi da il resto della
banconota che avevo appoggiato sul bancone, lo afferro ed esco immediatamente.
Attraverso la piazza, rapido, ed entro. Ci siamo, sono
arrivati quelli delle Belle Arti, addobbati di cappelli, cappucci, lana,
sciarpe, foulard, pantaloni larghi e borse a tracolla in stoffa, chignon per
gli uomini, taglio corto le donne. Mi presento, “Ah, tu sei l’imbianchino”, e
subito m’informa che le cornici di gesso non vanno assolutamente imbiancate e
che ci penseranno loro alla rifinitura. Dopo averle pulite e restaurate.
Poi, l’altezzoso direttore lavori, seguito dai suoi
collaboratori, come un medico tra la corsia di un ospedale, si fa un giro per
il locale consegnando a ciascuno un compito. E se ne va.
I tre rimasti prendono il loro posto, attrezzi alla mano,
cominciano il lavoro. Non prima di aver estratto dalla tasca il cellulare. Un rapido
sguardo, qualcuno risponde al messaggino e si comincia. Si scrosta la cornice
con un coltellino, un colpo di fono, per ammorbidire la pittura, e di nuovo il
coltellino.
Suona un cinguettio,
proviene da un cellulare, l’esperto risponde. Un altro cinguettio, da un altro
cellulare, anche lui risponde. Poi
nuovamente all’opera fino al prossimo cinguettio, che non tarda ad arrivare. Sono a portata di mano degli esperti ormai, poggiano sull’asse
del trabattello mentre la battaglia per chi più seduce tra loro e le antiche
cornici si fa sempre più dura.
Non so rispondermi e non voglio, quello cui ho assistito
è un’eccezione, così ordino al pensiero.
Il pomeriggio è giunto al termine, mi raccolgono e mi
riportano a casa.
E penso alla tela sul cavalletto che mi aspetta.
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